Macaron Salati al Cambio

Posted on marzo 28, 2011

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Non aveva voglia di prepararsi la colazione mentre “For Your Babies” dei Simply Red lo riportava ai suoi diciotto anni. Scendeva da una fiat 127 color panna sotto la pioggia per entrare in una pizzeria come ogni sabato sera quando con le sue diecimila lire poteva concedersi ogni sorta di bagordi. Non aveva voglia di prepararsi la colazione nonostante la ricetta dei pancake al the matcha, scovata in uno stupido food blog che non si definiva tale,  gli piacesse moltissimo. Incredibile come l’incontro delle uova con la farina e il latte potesse generare diverse forme di sapore. Incredibile come l’uovo racchiudesse in sè, oltre che l’essenza della vita stessa, gusti sempre diversi anche quando non veniva mischiato. Incredibile come l’autrice di quel blog fosse tanto stupida con i suoi sbaciucchiamenti. Maghetta Streghetta, o qualcosa di dannatamente e insopportabilmente simile. Per qualche oscura ragione però gli  piaceva leggerla. Con i suoi costrutti grammaticali errati, onirismi spinti e non sense che avrebbero dovuto preoccupare i parenti e amici più prossimi.

 Non aveva voglia di lasciare riposare la pastella, spremere le arance fresche trovate a Porta Pila e lasciare dentro il lavandino il pentolino rosso sporco, appiccicoso e puzzoso. Chiedendosi come quell’invasata facesse per ogni suo post e se nella cucina della suddetta ci fosse quell’olezzo.  Un giorno lo aveva fatto senza premurarsi di versarci dentro  un po’ di aceto come gli aveva consigliato la nonna. Ormai lontana non soltanto geograficamente. Era una vecchia stolta e impicciona. Al diavolo la buona creanza. Le soddisfazioni lavorative del nipote non le interessavano tanto quanto gli importanti riconoscimenti che ne erano conseguiti. Voleva solo infilarsi uno stramaledetto ridicolo tailleur comprato in un negozio di secondo ordine perchè la pensione era quella che era e ubriacarsi sul prato del locale dove si sarebbe tenuto il banchetto di nozze agognato. Avrebbe infilzato i tacchi, con i quali non era solita camminare,  lungo quell’umido terriccio e girovagato dicendo ” e mio nipote si è finalmente sposato! Non ci sperava più nessuno!”.

Avrebbe lasciato un commento anonimo a quella Giulia, Maghetta Streghetta o come diavolo si chiamasse, per chiederle se lei mettesse l’aceto nella pentola dopo aver cucinato uova. Ed altre due curiosità che lo attanagliavano. Una su tutte: come diavolo facesse a preparare tutti quei dolci senza mai assaggiarne uno. Così diceva.

Vi era luce briosa quel mattino, segno che ormai la primavera con la sua ora rubata era prepotentemente giunta. Le angoscie della notte precedente sembravano essere lontane come i ricordi felici della vecchia nonna. Quando ancora era una tenera signora attempata che sfornava dolci di riso al sapore di miele e ricavava tagliolini freschi dopo aver steso con maestria lenzuola di pasta apparecchiando e imbandendo tavole chilometriche. Eppure voleva proprio cedere alla voglia di pancake o lievitato dal sapore dolce , appena sfornato e caldo.

“Piazza Solferino”. “Vada per Piazza Solferino”. Proprio all’angolo c’era un bar che instancabilmente sfornava ogni sorta di cornetto. Vicino c’era il Brek. A quindici  anni mangiava spesso lì perchè facevano una bistecca buonissima che adesso chiamano entrecote per darsi un dono. Il ripieno del cornetto non era eccessivo e trabordante ma neanche povero e tirchio di zuccheri, di solito. Molteplici ripieni e inaspettati gusti giornalieri come la castagna di Cuneo, Fragolina di Tortona e pera madernassa lo decretavano il “miglior bar dove prendere un cornetto quando non hai voglia di sporcare pentole al mattino”. O una cosa anche più sintetica. Leggere quella siciliana fumettista stava forse compromettendo il suo modo di rapportarsi alla grammatica italiana?

Il suo lavoro al Museo di Antropologia all’Università in via Accademia Albertina, dove stava conducendo degli studi di rilevanza internazionale, gli concedeva talvolta dei fortunati ritardi mattutini. Avrebbe quindi potuto assecondare quella voglia certa di guardare Palazzo Madama e prendere un pezzo di focaccia ligure sotto il portico pensando al pranzo che sarebbe seguito da lì a poco se non si fosse dato una mossa. Gli avrebbe fatto bene passeggiare giusto un po’, pensò. E se fosse tornato indietro da Vanilla per un sorbetto al fico forse non sarebbe stato neanche tanto male. Al diavolo. Era sottopeso e poteva concederselo.

Non c’erano castagne di Cuneo, Fragoline di tortona e pere madernassa. Non c’era neanche qualcosa di nocciolato come piaceva a lui. In compenso,  non se ne conosceva bene la ragione,  si erano lanciati in dei gusti multivariegati dal sapore siculo. L’ultima tendenza, soprattutto in fatto di gelati, imponeva qualsivoglia forma di pistacchio di Bronte in tutte le salse , Mandorla di Siracusa/Palermo/Catania/Messina  e Capperi di Pantelleria. Certo  che un cornetto con questi ultimi sarebbe stato quantomeno più invitante del resto ma  rifiutò l’idea. La mandorla era eccessivamente nauseabonda per i suoi gusti e di pistacchio proprio non ne poteva più. Doveva già sorbirlo durante le otto ore di lavoro perchè il suo collega siciliano non faceva altro che farsi pervenire spedizioni di pistacchio e paste di mandorle;  puntualmente rifilava senza troppi convenevoli  aneddoti familiari e culinari. Il perchè li cedesse così volentieri la diceva lunga sulla voglia di chiacchierare e blaterare piuttosto che ingurgitare. Eppure a lui  piaceva mostrarsi affabile e gentile giusto per allontanare il concetto di freddezza nordica tanto cara al collega del sud; lo stesso che con molte probabilità sarebbe morto per un indice glicemico troppo alto entro i prossimi dieci anni. Erano le statistiche e il sovrappeso di costui  a confermare l’ inquietante tesi, non certo la sua algidità o falsa cortesia. Si era chiesto spesso se avrebbe dovuto baciare tutti i parenti venuti dal sud o se avrebbe  dovuto andare lui stesso con un last minute. Dava la colpa di questa fervida e assurda immaginazione alle letture che ultimamente si concedeva online. Quella ragazza doveva trasmettere follia attraverso l’etere ed essere capace di annientare neuroni.

“Un cornetto vuoto”, disse dopo aver fissato quei vassoi con talmente tante sfoglie arrotolate da ricoprire la distanza Piemonte -Sicilia. Avrebbe potuto percorrerla velocemente per il funerale, si disse. Si sarebbe poi potuta lastricare con panetti di pasta di mandorle e fare tratteggi della segnalatica stradale con pistacchi. Mentre mentalmente costruiva autostrade  lunghe mille e ottocento chilometri, chiedendosi se il ponte sullo stretto potesse essere un enorme gianduiotto era già davanti a Palazzo Madama. Le impalcature erano state tolte e la finestra dell’ultimo piano era aperta. Proprio dove ci si può sedere tra quadri seicenteschi sotto lampadari di cristalli e rigirare cucchiaini dentro tazze orrendamente belle. L’idea di farci un angolo caffè in quella meraviglia che affacciava proprio su Palazzo Reale era stata l’ennesima riprova che il buon gusto fosse appartenesse alla città regale per eccellenza.

Torino, non solo sua città natale ma rappresentazione del suo essere, la conosceva a menadito. Ogni angolo, strada e incrocio aveva un aneddoto, una storia, una cronaca e un ricordo.

Bramava un po’ di tempo da trascorrere così. Con un cornetto vuoto, progettando autostrade di pasta sfoglia e prendendo appunti sul suo ipad giusto per usare l’applicazione ANote. Non poteva farne più a meno. Aprire cartelle colorate, associare icone e dividere per tipologia i pensieri random, le idee e qualsivoglia cosa frullasse a velocità dodici nella sua mente. Purtroppo però oltre all’ingente mole di lavoro, le paste di mandorla da ingerire fatte pervenire dalla Sicilia e la collaborazione con il Museo dell’Anatomia  si era messa di intralcio  anche quella mandria scomposta di invasati.

La Signora, prima capitale d’Italia, era già da un po’ di mesi asseddiata da stolti e creduloni turisti che dopo aver letto il fantomatico best seller,  arrivato in cima alla classifica superando addirittura Cotto e Mangiato, si riversava per Piazza Castello in cerca di materializzazioni di Mummie; nella speranza di intravedere Cleopatra in coda da Grom per la scelta del gusto del mese. Aveva già assistito basito a quei ridicoli tour al  Louvre. Seduto su di una panchina fissava donne con calze a fiori e uomini con sandaletti fare la conta su mattonelle. Talvolta credeva che qualcuno avrebbe estratto una pietra dalla tasca e cominciato a zompettare su un piede soltanto,  in cerca così del  Sacro Graal. Allora stava giusto conducendo un’indagine in trasferta dai cugini Parigini. Immaginare gli individui in sandaletti con cerchietti di topolino  il giorno dopo sul trenino di EuroDisney gli provocava oltre che fastidio fisico anche irrefrenabili conati di vomito. Torino, custode del Museo Egizio più importante nel mondo e  possessore di papiri talmente numerosi da superare addirittura il Cairo, era divenuta moda e meta già dal Natale appena trascorso. Periodo in cui purtroppo gente che generalmente non apre un libro si ritrova un rettangolo confezionato con tanto di fiocchetto insieme a del torrone e un panettone. E che fai? Lo leggi. E cosa scopri? Che l’anima delle Mummie si è impossessata di alcuni abitanti di Torino e infesta la città. C’è un investigatore, cinque/sei vittime, la bionda di turno, l’eroe e il pazzo che sa tutto.

Comincia un’avventura thriller con mummie fantasma, acrobazie da far impallidire Tom Cruise in Mission Impossibile, tre date e quattro riferimenti storici errati e l’autore è già nel suo attico a New York a fissare vetrate e senza sforzarsi più di tanto perchè il seguito si è scritto da solo. Basterà dire il doppio delle minchiate e il gioco è fatto.

“Il cammino di Sadat”, movimento emergente,  era un’associazione composta da egittologi o presunti tali,  premuratisi addirittura di fondare un vero e proprio gruppo  stabile con tanto di incontri, divulgazioni e dispense gratuite. Da chi fosse finanziato tutto questo non era dato sapere. Muhammad Anwar al-Sādāt , presidente Egiziano e nobel per la pace,  si era davvero molto battuto affinchè tutte le mummie sparse nel territorio mondiale potessero ritornare in patria. Aveva iniziato delle vere e proprie azioni diplomatiche, improntate alla massima cortesia, presso le ambasciate dei vari paesi proprio per aver indietro gli antichissimi antenati. Che la sua lotta fosse ricominciata e il suo nome riconosciuto grazie al primo posto di un fantomatico best seller seguito da Cotto e Mangiato suppongo fosse lontanissimo anche per una mente fervida di immaginazione.

Da secoli uomini e donne insospettabili soprattutto di cultura elevatissima si erano dedicati  ad una vera e propria massoneria esoterica fregiandosi del fior fiore dell’intelletto dei massimi esponenti della conoscenza egittologica. La fratellanza di Luxor, su tutti.  Commercialmente parlando si era proprio innescata una sorta di adesione virtuale. Tutti erano diventati improvvisamente egittologi e durante la pausa pranzo si parlava di Tombe, processi di mummificazioni e perchè no: Atlantide. Non era difficile bere un bicerin estivo da Gobino fingendo di aver trascorso l’infanzia studiando i geroglifici giusto per darsi un tono.

La storia preferita dalla mandria di invasati era la seguente:  le mummie dovranno  prima o poi tornare in Egitto fermando quanto prima lo  scempio di profanarle  impunemente perpetrato finora,  in quanto non solo tombe ma luoghi sacri capaci di sprigionare forze malefiche. Era chiarissimo che a preoccupare la popolazione mondiale non fosse tanto la profezia Maya quanto la profanazione delle tombe egizie. All’alba del 2012 l’unico argomento pareva essere quello di inventarsi un modo alternativo per far finire il Mondo. Bastava solo leggere la cronaca mondiale. Ci avrebbe pensato Gheddafi, del resto.

Erano diventati tutti esperti della religione egizia, dopo letture su Bignami di “la storia di Egitto in tre comode pagine riassuntive”.  Rivendicavano come tutto fosse incentrato sull’anima del defunto e il rispetto per questa e di come il popolo Egizio fosse ossessionato dall’idea della morte. Lo studio condotto nella sezione dove lavorava  conduceva proprio una  ricerca sugli Egizi Ariani, razza inaspettatamente bianca con caratteristiche completamente diverse da quelle che normalmente si è abituati  ad associare all’enigmatica popolazione. Mediante processi inversi a quelli della mummificazione venivano analizzati cellule sanguigne, dentature e le diverse fasi del processo. Esperimenti all’avanguardia capaci di trovare ennesimi quesiti e non risposte. Per questo motivo avrebbe preferito pensare a quell’autostrada di pasta sfoglia lastricata di panetti di pasta di mandorla piuttosto che subire  continuamente a discussioni di questo tipo. Involontariamente era finito in un circolo vizioso. Giornalisti, curiosi e semplici rompipalle perditempo attentavano  costantemente al suo  lavoro. Gli richiedevano interviste e veniva addirittura invitato ad imbarazzanti talk show disposti a tutto pur di una sua dichiarazione.

 

Nei salotti di questi programmi di informazione, capaci di intrattenere i decerebrati in maniera eccelsa, si alternavano scrittori, esoteristi, egittologi e un’ imbarazzante sfilza di titoli improvvisati. Anche gli ufologi partecipavano perchè si sa che gli ufo c’entrano sempre alla fine.

Il tutto era riassumibile in questa squallida considerazione “Coloro che violarono le tombe dell’antico Egitto hanno liberato le forze malvagie nel mondo. Queste influenze non possono far altro che recare danno all’universo tutto fino ad  influenzare persino il destino e le sorti dell’umanità intera. Gli uomini non hanno protezione contro queste forze perchè invisibili e potentissime. Non si devono in alcun modo toccare queste le tombe perchè la natura psichica di esse è incomprensibile ai più. Bisognerà quindi far confluire tutta questa negatività sprigionata e riportarla nel tempo e nel luogo dove vi era la luce, un tempo. Tutte le mummie dovranno tornare in Egitto”. Il Cammino di Sadat lottava giustappunto per questo.

E lui era proprio uno di quelli che “profanava le tombe” giornalmente e  sprigionando quindi  forze malvagie durante l’ora di ufficio. Bella storia, diceva con l’intenzione di  sbattere violentemente la fronte su uno spigolo appuntito.

 Il cornetto vuoto della colazione sembrava essere più raziocinante di tutto questo.

Arrivato in quello che era difficile definire il suo ufficio perchè assediato da centinaia di individui con fotocamere e telecamere, dopo aver salito le scale schivò il maniaco delle paste di mandorle che era sicuramente pronto a raccontargli il week end trascorso in chat con la famiglia al completo, la quale aveva deciso di non trasferirsi nell’algido nord preferendo la temperatura mite e il bordello visivo. Il giornale,  mal piegato da un utilizzo non esplicitamente concesso al collega con la testa troppo grande per contenere un cervello evidentemente troppo piccolo, in copertina riportava la notizia che un giovane orientale era stato brutalmente assassinato.

Pare che il giovane per diletto si interessasse a tutto quello che fosse inerente all’Egitto ma che non era  in alcun modo legato al Cammino di Sadat o associazioni fanatiche derivate dal fantomatico best seller. L’ultimo avvistamento era avvenuto  al Wasabi, noto ristorante giapponese. Probabilmente la vittima aveva subito l’aggresione all’uscita dal ristorante. Il suo corpo era stato ritrovato, a distanza di molto tempo secondo le prime indiscrezioni, davanti al “Cambio”. Completamente mummificato. Seguendo  tecniche specialistiche poco diffuse che solo uno specialista avrebbe potuto mettere in atto.

Uscì dall’ufficio alle nove, dopo una giornata estenuante con paste di mandorle,  e ordinò petto di pollo con semi di papavero e macaron salati con dadolata di pomodorini al “Cambio”. Andò a mangiare proprio lì; nonostante quello che era successo lo storico locale sito vicino al Museo Egizio era aperto.

Pare che il giovane Yusuke avesse mangiato dei Soba al the matcha al Wasabi. Il giovane Pierre  pare non desiderasse più i pancake al the matcha ma Macaron Salati al Cambio.

Squillò il telefono. L’uomo con la testa troppo grande per contenere un cervello evidentemente troppo piccolo, ovvero quello che aveva senza esplicito consenso letto il suo giornale lo stava chiamando.

“Pierre ma quello morto ammazzato mummificato non era lo stesso giapponese che un mese fa  aveva chiesto di poterti parlare? Eravamo al wasabi insieme in pausa Pranzo. Ricordi?”

Pierre lo ricordava, eccome. Sorrise e riagganciò liquidandolo senza troppi convenevoli.